La Sinodalità, ovvero la Chiesa come una famiglia

La Sinodalità, ovvero la Chiesa come una famiglia

Il sinodo diocesano che inizia oggi è un passaggio storico per la nostra Chiesa, sia perché ci chiama a discutere dello stato della Chiesa savonese e a riflettere sull’evangelizzazione che ci attende negli anni a venire, sia perché si inserisce nel cammino più grande del sinodo nazionale che forse si svolgerà e nel cammino sinodale universale che tutta la Chiesa è chiamata a compiere nei prossimi due anni.
Sotto una certa chiave di lettura, la sinodalità e la familiarità sono stili convergenti, approcci che chiamano a vivere i processi di dialogo, confronto e decisione sapendo mettere insieme l’orizzontalità e la verticalità dei nostri rapporti. È allora opportuno provare a smuovere alcune riflessioni: questi pochi spunti vogliono essere un contributo di stile al sinodo, che sarà tempo di familiarità per la Chiesa di Savona – Noli. Ma possono anche essere uno stimolo alle famiglie, di modo che possano fermarsi a riflettere sul ruolo che hanno nella società, nella Chiesa e nella realtà, trovando alcune riletture magari interessanti per la loro vita quotidiana.

Famiglia di famiglie

«La Chiesa è famiglia di famiglie», scrive Francesco in Amoris laetitia. I cammini sinodali sono un’occasione per vivere questo aspetto con forza: lo stile e il modo con cui ci si approccia a un sinodo è quello della famiglia. Questa è per sua natura caratterizzata dal confronto franco e sincero, dalla limpidezza e dalla trasparenza del dialogo, dalla parresia del proprio parlare. La famiglia è quell’ambito della propria vita dove si può – si deve poter – essere sé stessi, senza temere giudizi e liberandosi dai pre-giudizi; attorno al tavolo della famiglia, ciascuno mette in gioco i propri sogni e le proprie aspirazioni, espone il suo pensiero sull’avvenire e sul presente, delinea soluzioni ai problemi e progetti per la comunità. E ciascuno sa che lì – e solo lì – può rischiare di abbassare le proprie difese, confidando che gli altri non usino le sue debolezze e non infieriscano sui suoi problemi. Una famiglia, poi, vive anche del rapporto tra l’orizzontalità e la verticalità, con i genitori e i figli, ma anche tutti gli altri componenti che orbitano attorno a questi ruoli, che si riconoscono proprio grazie al ruolo reciproco. È l’essere figli o l’essere genitori che ci identifica all’interno della famiglia: dice già un “chi siamo” che determina anche altri rapporti; nonostante questa verticalità, però, la famiglia è anche la principale dimensione di orizzontalità, poiché è in ascolto di tutte e tutti coloro che ne fanno parte ed è orientata a trovare un equilibrio dinamico che rispetti le legittime aspirazioni di ciascuno.
Sappiamo che non sempre ciò accade nelle nostre famiglie, ma dobbiamo essere consapevoli che queste caratteristiche – teoriche – della famiglia sono la sua forza.
La Chiesa ha bisogno di buoni maestri e buone maestre che le ricordino come questo stesso stile sia anche suo. È stato proprio il Papa a chiedere a più riprese che la Chiesa viva con parresia, il «non aver paure di dire le cose» che rimanda all’annuncio «con franchezza» degli apostoli (At 4) e che costituisce il naturale stile di vivere un’assemblea sinodale. Questo stile ha le stesse caratteristiche del dialogo familiare: anche in un sinodo si deve poter parlare con franchezza, senza temere il giudizio altrui quando si parla in verità.
La Chiesa può anche apprendere dalla famiglia uno stile di servizio totalizzante per chi è posto nel ruolo di avere responsabilità sui fratelli e le sorelle. È proprio nella famiglia, infatti, che coloro che sembrano in una posizione di preminenza – i genitori – la vivono in uno stile di servizio pieno e totale per coloro che sono a loro affidati. Così è la Chiesa, i cui pastori sono al servizio del popolo e non al suo comando; con fare simile devono muoversi coloro che sono chiamati a partecipare a un’assemblea di questo tipo, vivendo tale incarico non per il prestigio o il potere che ne potrebbe derivare, ma come occasione di porsi in ascolto e al servizio integrale della propria comunità, che è poi l’insieme dei volti dei fratelli e delle sorelle. Proprio il porsi in ascolto nel decidere è stile della Chiesa stessa, uno stile che si è fatto anche norma ecclesiale (can. 127).

È per questo che abbiamo bisogno, come società, di contribuire alla stabilità e alla funzionalità delle famiglie: esse sono non solo l’ambito vitale in cui nasciamo, ma anche la struttura sociale basilare per apprendere i rapporti e strutturarci in modo da essere donne e uomini nella società più grande. È palestra di democrazia e di spiritualità, educatrice e guida. Per la Chiesa, poi, essa è palestra d’amore, che è il cuore del Vangelo.

Chiesa domestica

La riflessione non può portarci che a pensare anche in direzione contraria: la famiglia come «Chiesa domestica» (LG 11) ci spinge a vivere l’annuncio del Vangelo anche nei rapporti del quotidiano. La Chiesa può essere per la famiglia il costante segno del porsi in ascolto e al servizio del fratello e nostra sorella che vivono al nostro fianco, praticando insieme a loro anche un servizio profondo verso il prossimo.
Il messaggio di amore che la Chiesa porta al mondo è quindi poi incarnato nelle famiglie: nei rapporti che la famiglia ha al suo interno, ma anche in quelli che vive con l’esterno. E di questi essa è testimone anche di fronte al mondo, perché è soprattutto dall’agire dei cristiani – che tutti vivono almeno una parte della loro vita in qualche forma di famiglia – che il mondo riceve il Vangelo.
La dimensione sinodale, inoltre, è un richiamo forte al dialogo nella famiglia; su questo, Chiesa e famiglia sono maestre e allieve a vicenda, in un costante dialogo costruttivo ed educativo. Una Chiesa che viva l’orizzontalità come dialogo e confronto e la verticalità come servizio al prossimo è un forte segno concreto e tangibile che indirizza la famiglia nel fare altrettanto.
D’altronde la costruzione comune dell’indirizzo a cui rivolgersi è una caratteristica costitutiva della Chiesa come della famiglia e simili sono i mali quando questi strumenti non sono usati a dovere. Nella Chiesa il clericalismo è appunto un vivere la verticalità come comando e potere e non come servizio; ma ciò accade anche nella famiglia, quando un genitore pretende di dominare i processi decisionali per sé, per la comunità familiare e per le vite dei singoli che appartengono al gruppo. In questo, l’insegnamento comune da tenere a mente è quello costitutivo dell’ecclesia, dell’assemblea: un’assemblea di fratelli e sorelle, con i suoi ruoli e i suoi dibattimenti, ha in sé le due chiavi delle sane orizzontalità e verticalità, oltre all’esempio di vita che aiuta tutte e tutti a vivere su quella strada.

Un elemento importante della Chiesa in questa sua dimensione sinodale è anche la preghiera. In un sinodo più che in molte altre occasioni la Chiesa si affida allo Spirito e chiede che esso soffi su di lei, con una particolare attenzione a chi partecipa attivamente all’assise. Non casuale e non solo simbolico che il sinodo diocesano si apra proprio in occasione di Pentecoste. Anche nella dimensione familiare il sapersi affidare allo Spirito è centrale: nelle difficoltà e nelle gioie, di fronte alle scelte e alla quotidianità, tutte le nostre famiglie possono far tesoro di questo insegnamento della Chiesa. Lo sappiamo bene proprio dopo quest’anno durissimo, nel quale, davvero, possiamo dire che la Chiesa ha vissuto una dimensione domestica che da tempo era dimenticata e il Vangelo ha trovato nelle case uno spazio privilegiato per risuonare.

Il sinodo della nostra Chiesa è quindi un tempo da vivere in famiglia. Lo è per tutti i nostri nuclei familiari propriamente detti, che sono chiamati a essere protagonisti nelle diverse forme dell’assemblea; lo è per l’assemblea stessa, che dovrà viversi come una famiglia e con questo stile affrontare gli anni di lavoro che ha innanzi.

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